La Casa Del Pittore
RAVASI E ARCUMEGGIA
Nel vasto percorso relativo alla storia della prima galleria all’aperto dell’affresco ideata in Italia il nome di Bruno Ravasi compare, per la prima volta, l’11 giugno del 1956 quando tre degli artisti già contattati dal Comitato Organizzatore, precisamente Montanari, Usellini e Morelli, si incontrarono a Varese, presso la sede dell’Ente Per il Turismo, con la finalità di discutere i problemi logistici della manifestazione. Non sappiamo se Ravasi facesse già parte del Comitato Organizzatore, ma quel che è certo è che da quel momento venne investito del compito di sopraintendere ai problemi tecnici ed esecutivi degli affreschi in stretto dialogo con gli stessi artisti. Questi, infatti, avevano manifestato la loro preoccupazione relativa alle “condizioni materiali” in cui si sarebbe svolto “(...) il lavoro e in particolare della rispondenza delle pareti alla particolare tecnica dell’affresco”.
Per tale motivo sia i tre sunnominati artisti sia Ravasi in compagnia di Mario Beretta e Manlio Raffo si trasferirono, in quell’occasione, ad Arcumeggia per una prima ispezione. Ravasi era la persona adatta a ricoprire quell’incarico in quanto architetto a stretto contatto con il mondo del restauro e quindi conoscitore sia delle caratteristiche del supporto murario sia dei materiali utilizzati per questa antichissima tecnica pittorica.
Probabilmente fu sua la scelta estetica, oltre che tecnica, di far realizzare gli affreschi entro telai da murare in nicchie appositamente preparate e non direttamente sulla parete delle case. Questa particolarità è deducibile da un dattiloscritto non datato, ma firmato, contenente una serie di indicazioni inviate alla ditta De Grandi di Varese per la messa in posa dei primi dieci affreschi da realizzarsi nello storico anno d’esordio, il 1956. Il documento, inoltre, testimonia l’avvenuta consulenza da parte di Ravasi in merito ai problemi tecnici da risolversi affinché gli artisti potessero trovare uno spazio ottimale per lavorare o per vedere le proprie opere inserite in un contesto adeguato sia per l’osservazione del manufatto sia per lo sua conservazione.
Il primo problema affrontato da Ravasi riguardò la sistemazione generale delle pareti delle abitazioni che avrebbero ospitato i dipinti mediante ripristino o rifacimento dei vecchi intonaci e relativa imbiancatura. Altro punto studiato interessò i telai, che sarebbero stati preparati in luogo riempiendoli con 20 metri quadri di “graticcio Staus” per creare un’armatura sul fondo e riempiti, quindi, di altro materiale per lasciare, infine, uno spazio spesso meno di mezzo centimetro dove stendere l’intonachino dell’affresco.
Da ultimo Ravasi segnalò, ovviamente, la necessità di fornire un ponteggio, un buon muratore e un manovale per l’assistenza tecnica al momento della realizzazione del dipinto.
Durante quel primo anno di vita di Arcumeggia Ravasi progettò l’allestimento della mostra dei bozzetti degli affreschi affiancati da altre opere degli stessi artisti.
L’esposizione si tenne a partire dall’8 luglio 1956 presso il Palazzo Comunale di Cuvio, alla presenza del primo affrescatore di Arcumeggia, Ferruccio Ferrazzi, che il giorno seguente cominciò a lavorare al proprio dipinto.
Anche in questo caso non siamo venuti in possesso di progetti o schizzi, ma in compenso, ancora una volta, abbiamo potuto constatare quanto Ravasi fosse molto apprezzato nella Varese dell’epoca, visti i commenti e gli aggettivi positivi con cui veniva segnalata questa sua collaborazione.
Un altro episodio fondamentale del rapporto tra Ravasi e Arcumeggia si verificò nel 1957, quando l’architetto varesino venne incaricato di progettare la “Casa del Pittore”, un edificio che il Comitato Organizzativo desiderava mettere a disposizione di tutti quegli artisti che da quell’anno in avanti avrebbero collaborato all’ampliamento della galleria all’aperto dell’affresco, venendo di persona a lavorare nel borgo valcuviano.
L’ospitalità veniva concessa in un arco di tempo Compreso, in linea di massima, tra i mesi di aprile ed ottobre, per un periodo di trenta giorni ed era indirizzata esclusivamente a coloro che avessero desiderato cimentarsi nella tecnica dell’affresco. I mesi invernali, invece, erano riservati a quegli artisti che preferivano fare uso di altre tecniche. I permessi di soggiorno erano concessi da un apposito Comitato Artistico composto sia dalla consueta Commissione sia dai pittori Montanari, Tomea ed Usellini.
Il cantiere venne aperto quasi certamente durante il mese di marzo e in poco più di un mese e mezzo si giunse alla posa del tetto. I lavori vennero eseguiti con una discreta velocità non solo perché l’entusiasmo degli abitanti di Arcumeggia generò un fenomeno di collaborazione, ma anche in quanto, quasi certamente, non si trattò della realizzazione di un edificio completamente nuovo quanto, piuttosto, di un riassetto di una struttura già esistente e definitivamente donata al Comitato Organizzativo nel 1958 da alcuni fratelli Cerini.
Ravasi stese il progetto che prese vita materialmente sotto lo direzione del geometra Mazzola di Varese e del capomastro - ma anche consigliere comunale e segretario della Pro Arcumeggia - Pietro Cerini. I materiali vennero forniti dalla ditta De Grandi di Varese e ai lavori presero parte, in qualità di manodopera gratuita, ben quarantacinque abitanti di Arcumeggia.
L’edificio sorse tenendo presente criteri di funzionalità, ma anche di calda accoglienza. L’artista che vi risiedeva poteva contare su un pianterreno dotato di ingresso ampio e luminoso, cucina e salotto: quindi una scala in legno lo avrebbe condotto al primo piano comprendente due camere e i servizi e, da ultimo, al secondo piano, dove era situato lo studio. Quest’ultimo era dotato di ampie finestre, che garantivano un’intensa illuminazione naturale, nonché di un ampio terrazzo panoramico con vista ovviamente sulla Valcuvia e sul lago Maggiore.
Il riscaldamento sarebbe stato garantito da un caminetto reso piacevole per via della pietra “(...) cercata e scelta con cura quasi tenera su al monte Tre Colonne” e dalla decorazione in ceramica; negli anni a venire avrebbe acquisito pure un aspetto originale per via delle firme su di esso riportate da parte degli artisti che avrebbero soggiornato alla “Casa del Pittore”.
Come correttamente faceva notare il cronista de “La Prealpina”, Ravasi aveva tentato di progettare un edificio che sapesse coniugare le esigenze di un artista in villeggiatura di lavoro con le caratteristiche tipiche dell’edilizia autoctona, “[...] pertanto il tutto è stato realizzato con un garbo, con un gusto che se volutamente è rimasto vicino alla schietta e nobile rusticità montana, altrettanto volutamente s’è valso d’ogni accorgimento perché la vacanza dei pittori venisse degnamente incorniciata e confortata”. Pare di comprendere che gli abitanti di Arcumeggia rivestirono un ruolo assai importante nella realizzazione di questo originale edificio, ‘‘(...) espressione preziosa e davvero insolita di un mecenatismo montanaro”.
La “Casa del Pittore” accolse gli immediati consensi degli artisti che, con originalità e simpatia, seppero valorizzarla e renderla parte importante di quell’avventura culturale appena nata. Usellini la definì “stupenda e fortemente ideale” in quanto “(...) luogo ideale per dipingere, perché vi era silenzio”; Tomea si domandò “(...) se pure per lui era stata costruita e se sarebbe stato degno di abitarla”; Tomiolo si era già reso conto, l’anno precedente, della qualità del luogo dove l’edificio sarebbe sorto, tanto che lo aveva scelto per iniziare una serie di tele lasciate incompiute, che si era ripromesso di terminare se vi fosse tornato; Morelli aveva quasi svolto Il ruolo di veggente, poiché molti mesi prima che l’edificio venisse realizzato si espresse sostenendo che “la Casa del Pittore nascerà e così Arcumeggia saprà dimostrare come i piccoli e gli umili sonno essere grandi”.
L’edificio venne inaugurato una prima volta il 15 luglio 1957 alla presenza di autorità, artisti e giornalisti, contemporaneamente alla presentazione del decimo affresco della prima serie, che Brancaccio avrebbe dovuto consegnare l’anno precedente e che invece fu spedito dall’artista napoletano solamente intorno al 21 giugno di quell’anno.
Una seconda inaugurazione corrispose all’apertura ufficiale della “Casa del Pittore” all’attività per cui era stata prevista, ossia in concomitanza del soggiorno ad Arcumeggia di Remo Brindisi, il primo artista in ordine di tempo ad abitarla, e Aligi Sassu, che tra ottobre e dicembre realizzarono i rispettivi affreschi intitolati “Abitanti e lavori del posto” e “Corridori”. Il giorno prescelto per questa apertura ufficiale fu il 16 ottobre e, a testimonianza di quanto fosse vissuta come un’idea positiva anche dagli addetti ai lavori, risultarono presenti artisti come Guttuso, Morelli, Montanari, De Amicis, Tomea, Usellini, Angelo Frattini e Tavernari. Terminata anche l’impresa relativa alla progettazione della “Casa del Pittore”, probabilmente Ravasi allentò, almeno in parte, i suoi rapporti con il Comitato Organizzativo pur restando in contatto e a disposizione.
Questa interpretazione nasce dal fatto che il suo nome compare, negli anni a venire, sempre più raramente sulle fonti pubblicate sui quotidiani locali e nei documenti d’archivio. Un’ultima esplicita citazione relativa ad una collaborazione di Ravasi è ravvisabile in un resoconto scritto nel 1960 in seguito ad un sopralluogo effettuato per constatare lo stato conservativo di alcune stazioni della Via Crucis che avevano subito dei danni. Di questa commissione facevano parte anche Usellini, Montanari, Mario Rossi, Aldo Lozito, Mario Pigozzi e il direttore dell’Ente per il Turismo di Varese. La sensibilità di Ravasi nei confronti delle contemporanee vicende della cultura varesina si era manifestata, ancora una volta, nel mettere a disposizione le proprie capacità e l’esperienza tecnica acquisita in anni di attiva professione.